Sono connesso, dunque esisto! L’uomo nell’era tecnologica.

 

Sono connesso, dunque esisto! L’uomo nell’era tecnologica.

 

“La tecnologia da sola non fa scuola”. Dice bene Dianora Bardi su “Il Sole 24 Ore. nòva” di qualche anno fa. Di certo, l’uso di tablet, netbook, proiettori interattivi e quant’altro, pone la classe docente di fronte a “ragazzi tecnologicamente avanzati” e curiosi sulle ultime applicazioni informatiche. Una sfida di “modernità”, nelle tecniche e nelle modalità d’insegnamento, per i docenti; una bella opportunità per i discenti di accedere alle nuove tecnologie per conoscere e apprendere. Ma è possibile ed è giusto, sia pure nell’era dominata dalla tecnologia, che questa stia diventando l’unico modo per entrare in contatto e per conoscere la realtà? Sia, cioè, la categoria predominante di apprendimento del mondo che ci circonda? Per dirla con Roberto Mazzocco, saggista, siamo al “transumanismo”, i cui capisaldi afferiscono al potenziamento delle nostre capacità fisiche e psichiche; all’eliminazione di ogni forma di sofferenza; alla sconfitta dell’invecchiamento e della morte. Il superamento dell’umano nel “post-umano” – proseguendo nel ragionamento dell’autore – arriverebbe, attraverso lo sviluppo della tecnologia, ad elaborare delle tecniche idonee a trasferire la “coscienza su supporti non biologici” e robot (le c.d. “nanomacchine”) capaci di infiltrarsi come virus per riparare cellule cancerose ed effetti di malattie degenerative.

uomo robotizzato

Il dilemma è se l’uomo si sia “robotizzato” o se, viceversa, è il robot ad essersi “umanizzato”.

In una prospettiva diametralmente opposta alla precedente, i robot sono considerati mere alternative all’uomo, utili solo dove questo non possa arrivare. A pensarla così è Lord Martin Rees, docente di Astrofisica all’Università di Cambridge e astronomo della Regina d’Inghilterra. La rapidità con la quale la civiltà dei robot sta entrando nelle nostre vite, prendendo il posto dell’uomo, non è più fantascienza, ma realtà.

Lo sviluppo delle tecnologie ha invaso anche il campo della comunicazione. I new media, i social network, hanno cambiato radicalmente il nostro modo di comunicare e gestire le relazioni sociali. La nostra stessa vita quotidiana si svolge, spesso, in real time ed on-line col mondo intero. La forza pervasiva della tecnologia sta prendendo davvero il sopravvento sulla “forza persuasiva della mitologia”? Questo si chiede Umberto Galimberti, nel suo “Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica” (Ed. Feltrinelli, Milano 2002), dove il progresso ci consegna “un avvenire senza meta”: la tecnologia, in quanto, spesso, contrazione fra ”recente passato” e “immediato futuro”, non ci fa vedere “fini ultimi”, ma solo “progressi nell’ordine del proprio potenziamento”.

Siamo immersi in un campo elettromagnetico, profondamente pervasi da ogni tipo di comunicazione, che, attraverso l’uso delle tecnologie sempre più sofisticate, ha, negli anni, modificato il tempo, il luogo ed il nostro stile di vita. I vantaggi legati alla tecnologia sono evidenti in ogni campo, ma occorre tenere ben saldo il senso del limite, se questo coincide con quel senso di umanità che ci appartiene.

Al moderno adagio, “sono connesso, dunque esisto”, continuiamo a preferire Cartesio: “Cogito, ergo sum”. Penso, dunque sono !


MANAGEMENT

 

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Verso una “leadership integrata” … tramonta l’archetipo del leader “eroe solitario”.

Il successo delle organizzazioni, spesso, viene associato al ruolo del leader. Un’identificazione forte ed indissolubile senza la quale nessun traguardo ambizioso riuscirebbe a spiegarsi. Per questo, nell’immaginario comune, è tuttora difficile pensare ad un Apple vincente senza Steve Jobs! Tuttavia, viene da chiedersi: “ma dove erano i leader quando si verificavano catastrofi organizzative”? Questo l’interrogativo di fondo che spinge Andrea Montefusco, professor di organizzazione e personale presso la SDA Bocconi di Milano, a porsi il problema di “Come aiutare il leader a non deragliare mai” (articolo pubblicato sulla rivista Via Sarfatti25 – Aprile 2013). Cosa sarà accaduto, infatti, nel disastro aereo di KLM a Tenerife, nella tragedia della ENRON e, più recentemente, nella crisi subprime? C’erano i leader sbagliati alla guida di quelle organizzaizoni o, forse, sta tramontando l’idea del leader quale Deus ex machina e Demiurgo che con le sue capacità taumaturgiche è in grado di plasmare ogni cosa?

Il forte orientamento a “fare risultato” non deve far perdere di vista che quel risultato, quel traguardo, vada raggiunto assieme. L’idea del leader “eroe solitario”è un’idea che non funziona più sotto il profilo economico-aziendale nella gestione delle organizzazioni. La ricerca di Montefusco – supportata da Giovanni Dosi, direttore dell'Istituto di Economia della Scuola Superiore S.Anna di Pisa e Anna Canato, direttore del Dipartimento di management dello Ieseg di Parigi – approda ad una soluzione che parte dal riconoscimento che gli individui “agiscono con regole di comportamento complesse”. L’attenzione che il leader rivolgerà agli aspetti psicologici, alle pulsioni emotive degli individui come singoli, favorirà la loro integrazione nel contesto dell’organizzazione. La capacità, quindi, del leader di farsi interprete degli “atteggiamenti articolati” dei componenti l’organizzazione e di saper “generare stati emotivi nei gruppi” produrrà una maggiore coesione verso gli obiettivi da cui la sua leadership non può che uscirne rafforzata. Una nuova frontiera della formazione potrebbe essere quella che coadiuvi i leader nel creare momenti di confronto all’interno dei gruppi di lavoro, col supporto qualificato di esperti del settore, che faccia da detonatore di tutto ciò che non va all’interno dell’organizzazione al fine di liberare e canalizzare le energie positive.

Una formazione tesa, insomma, a migliorare la qualità della comunicazione interna ed a prevenire/gestire i conflitti all’interno del gruppo allo scopo di favorire il consenso attorno al leader, il senso di appartenenza all’organizzazione ed un orientamento ai risultati in chiave collettiva. In questo senso, il ruolo del leader non viene sminuito da quella che è appunto la visione integrata della sua leadership, che non farà certo venir meno le sue capacità e originalità nel “governare le complessità” e nel saper guidare il gruppo, ma semplicemente lo aiuterà …  a non deragliare. La stessa energia che il leader impiega per farsi seguire dagli altri e “senza la quale le organizzazioni non sarebbero in grado di innovare e sopravvivere – conclude l’Autore – se non mediata da uno stile di leadership che la trasformi in atteggiamento collettivo (…) alla fine consuma il binario. Solo gli altri, integrati nel contesto dalla leadership, notano la rotaia consumata e possono non solo fare in modo che  il leader non deragli, ma contribuire a fargli costruire nuovi binari.”